Dal romanzo “I giullari di Dio” di Morris West
Il signor Atha continuò a parlare senza alzare la voce. “Mi hanno detto che lei era papa. Ebbene, ora lei è come un bambino. Deve imparare le cose più semplici, dall’inizio. Deve riconoscere di non poter affrontare quelle complicate ancora per molto tempo. Ma alla fine crescerà di nuovo come un bambino. Adesso è all’asilo infantile. Nelle prossime settimane, passerà alle elementari. Imparerà a vestirsi da solo, a muovere di nuovo la gamba e il braccio colpiti (*dall’ictus) e soprattutto parlerà. Può parlare già adesso, se lo fa lentamente. Prendiamo qualcosa di molto semplice: “Il mio nome è Jean Marie”.
(I giullari di Dio, Morris West – 1981)
Il libro “I giullari di Dio” di Morris West è un romanzo fantastico del 1981, che tocca temi politici e religiosi, il cui protagonista è Jean Marie Rivette, che fu Papa Gregorio XVII. Dimesso da poco tempo e ritirato in convento, ufficialmente per motivi di salute mentale, racconta di aver ricevuto da Dio il messaggio di annunciare la fine del mondo e il Giudizio Universale.
Ma ciò che ci interessa, ai fini di questo articolo, è che verso la fine della storia Jean Marie viene ricoverato in ospedale per un ictus. Possiamo immaginare tale luogo come un Reparto di Medicina Riabilitativa, dove pazienti adulti con diverse diagnosi vengono ricoverati e iniziano una riabilitazione motoria e/o cognitiva, seguiti da un’equipe multidisciplinare composta da: medici, fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali, neuropsicologi, ecc.
All’inizio del capitolo XIII viene presentato al lettore il medico neurologo, un tale dottor Raven, che effettua l’Esame Neurologico al paziente. Le difficoltà di Jean Marie sono sensoriali, motorie (es. non riesce a sorridere, o a sollevare un braccio) e cognitive (principalmente linguistiche e attentive). Successivamente viene presentato al paziente l’assistente del neurologo, il signor Atha: non sappiamo quale sia esattamente la sua professione, ma sappiamo che insieme iniziarono a fare “una serie di giochi”. In più occasioni si può cogliere una certa frustrazione di Jean Marie, reattiva alla condizione clinica, e in tali occasioni vi sono due reazioni totalmente differenti da parte del neurologo e del signor Atha: il secondo, infatti, risulta molto più accogliente nei confronti della sofferenza rispetto al medico.
Alla luce di tali osservazioni, possiamo immaginare che il signor Atha sia un neuropsicologo e fare importanti riflessioni su questa professione, ai più sconosciuta. Chi è quindi il neuropsicologo?
Innanzitutto, il neuropsicologo è uno psicologo (laureato in psicologia, abilitato all’esercizio della professione e iscritto all’Albo Professionale degli Psicologi). Quindi, in quanto tale, si occupa della sofferenza e del benessere psicologico sia dei pazienti (bambini, adulti e anziani), sia di chi si prende cura di loro.
Inoltre, analizza attraverso strumenti standardizzati i correlati neurali del comportamento umano. La neuropsicologia clinica, infatti, è una branca della psicologia che si occupa di descrivere i quadri cognitivo-comportamentali dei pazienti in seguito a una lesione cerebrale (che può essere causata da ictus come nel caso di Jean Marie, ma anche da tumori cerebrali, traumi cranici, o malattie neurodegenerative come le demenze). Ma non solo: ad esempio, il neuropsicologo specializzato in età evolutiva studia lo sviluppo cognitivo dei bambini.
Il neuropsicologo, inoltre, si occupa di diagnosi e riabilitazione. La diagnosi, ossia la descrizione del quadro cognitivo di un individuo, avviene attraverso colloquio clinico e somministrazione di test cognitivo-comportamentali standardizzati. La riabilitazione consiste invece nel potenziamento delle abilità residue in seguito a una lesione cerebrale e nell’apprendimento di strategie compensatorie, per poter eseguire sempre più in autonomia le attività della vita quotidiana. Tali esercizi possono essere visti dai pazienti come dei “giochi” (come quelli che, immaginiamo, affrontavano insieme il signor Atha e Jean Marie).
L’immagine del bambino descritta dal signor Atha secondo me è bellissima e definisce in modo delicato il lavoro che viene effettuato dal neuropsicologo durante un percorso di riabilitazione cognitiva. Un paziente in fase acuta, ovvero nel periodo immediatamente successivo alla lesione cerebrale, che deve affrontare una riabilitazione, è come un bambino che deve man mano imparare nuovamente a fare determinate cose e a eseguire determinate azioni.
Non è qualcosa di immediato, ma ci vuole tempo. Può capitare spesso, durante il periodo della riabilitazione, che i pazienti abbiano momenti di frustrazione e lo psicologo deve essere capace di accoglierli. Proprio come fa il signor Atha nei confronti di Jean Marie.